Le sentenze di condanna al risarcimento dei c.d. danni punitivi alla prova dell'ordine pubblico
Dott. Ennio Piovesani
Redattore
Il tema dell'ordine pubblico internazionale è di recente balzato alle cronache grazie all'ordinanza n. 16/9978, con la quale è stata rimessa alle Sezioni Unite la possibilità di riconoscere e dare esecuzione alle decisioni – rese negli Stati Uniti – di condanna al risarcimento dei cc.dd. danni punitivi, sino ad allora ritenute incompatibili con l'ordinamento italiano. In particolare, nell'ordinanza è stato chiesto di valutare se siano mutati i principi fondamentali sottesi al nostro ordinamento, oppure, se, sulla scia della normativa europea, sia configurabile un allentamento del limite dell'ordine pubblico di cui all’art. 64 L. n. 218/1995, sì da permettere il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in parola.
Nelle aule giudiziarie delle corti europee, il limite dell'ordine pubblico è stato spesso opposto alla richiesta di riconoscimento ed esecuzione di decisioni – rese negli Stati Uniti – di condanna al risarcimento dei danni punitivi, un istituto che marca una sostanziale differenza tra la funzione svolta dall'istituto del risarcimento del danno nei paesi europei e negli Stati Uniti.
Infatti, mentre nei paesi europei l'istituto in parola svolge, salvo rare eccezioni, una funzione riparatrice, negli Stati Uniti, talora, esso ne svolge anche una sanzionatoria.
In particolare, in Europa, il principio per cui l'istituto del risarcimento del danno mira alla ricostruzione dello status quo ante – e quindi, ad una riparazione – è da secoli consolidato. Come osservato in dottrina (Zeno-Zencovich), nell'Europa continentale, i profili sanzionatori di cui si caratterizzava l'istituto in diritto romano, sono stati espunti con il giusnaturalismo, quando il risarcimento del danno è stato relegato ad una funzione riparatrice. La stessa evoluzione si è registrata nel sistema anglo gallese, dove, attorno alla seconda metà del quattordicesimo secolo, si è giunti dalla action of trespass, di natura penale e sanzionatoria, alla action of trespass on the case, di natura civilistica e riparatrice. Diversamente, oltreoceano, l'istituto ha conservato, al fianco di quella ripristinatrice, una funzione sanzionatoria. Tale funzione è esercitata per il tramite degli exemplary (o punitive) damages, con cui si sanziona "esemplarmente" il danneggiante, al fine di scoraggiarlo dal compiere ulteriori illeciti.
L’ordinamento inglese, benché di common law come quello che vige nella maggior parte dei paesi nord americani, è restio nell’accogliere l’istituto dei danni punitivi. Anche in Germania, Francia ed Italia si è in passato escluso il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni statunitensi di condanna al risarcimento dei danni punitivi.
Quest'approccio ostile è ben rappresentato da una sentenza pronunciata dal Bundesgerichthof nel 1992, dove si escludeva la delibazione della decisione californiana di condanna al risarcimento dei danni punitivi, per contrasto con l'ordine pubblico tedesco. Secondo la corte, l'ordinamento tedesco non avrebbe potuto ammettere che il risarcimento del danno esorbitasse dalla riparazione del danno patito. Inoltre, la Corte di Cassazione tedesca osservava come, se i danni punitivi fossero stati ammessi, il privato si sarebbe sostituito allo Stato nell'esercizio della sua potestà punitiva.
Analogamente, in Italia, nel 2001, la Corte d'appello di Venezia (App. Venezia, 15/10/2001) negava l'esecuzione di una sentenza statunitense di condanna al risarcimento dei danni punitivi. L'orientamento espresso nella sentenza della Corte d'appello veniva avvallato dalla Corte di Cassazione (Cass. 07/1183 e 12/1781) la quale, come anticipato, riteneva che la sentenza di condanna al risarcimento dei danni punitivi non sarebbe potuta essere né riconosciuta né eseguita, per contrarietà al principio fondamentale per cui, nel vigente ordinamento, l'istituto del risarcimento del danno svolge una funzione riparatrice e non può invece svolgerne una sanzionatoria.
Anche in Francia dottrina e giurisprudenza escludevano la riconoscibilità della sentenza di condanna al risarcimento dei danni punitivi. Si riteneva infatti che i danni punitivi fossero incompatibili con il principio fondamentale della c.d. réparation intégrale, per cui l'istituto del risarcimento del danno può garantire una riparazione, non già un arricchimento (o una perdita).
Ebbene, quest’approccio di ostilità nei confronti del valore giuridico straniero rappresentato dall'istituto dei danni punitivi è stato abbandonato.
Infatti, come anche osservato nella predetta ordinanza n. 16/9978, sulla scia di una decisione della Cassazione spagnola del 2001, prima la Corte costituzionale tedesca nel 2007, poi la Cassazione francese nel 2010 hanno affermato che le sentenze di condanna al risarcimento dei danni punitivi non contrastano di per sé con la rispettiva nozione di ordine pubblico. Inoltre, si è ritenuto che il giudice davanti al quale è richiesta la delibazione, deve valutare se il riconoscimento e l'esecuzione della sentenza possa in concreto violare il principio per cui la responsabilità civile non può che svolgere una funzione riparatoria. A tal fine, ad esempio, il Giudice francese ha introdotto il c.d. test di proporzionalità, in virtù del quale occorre valutare lo scarto tra l'ammontare della somma liquidata a titolo di danno punitivo ed il danno effettivamente patito.
In questo clima di mutato atteggiamento da parte degli ordinamenti europei, si colloca la pronuncia n. 17/16601, con la quale le Sezioni Unite hanno sciolto i dubbi sollevati dalla Prima Sezione della Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 16/9978.
Il caso sottoposto all'attenzione del Consesso - come si può ricostruire dalla stessa pronuncia - è il seguente.
Durante una competizione di motocross, un motociclista si infortunava a causa dell'asserito difetto del casco che indossava in occorrenza del sinistro. Il casco, prodotto da una società italiana, era stato importato negli Stati Uniti da una società nordamericana e rivenduto al motociclista da una società con sede in Florida. A seguito dell'infortunio, il motociclista citava in giudizio la rivenditrice, la distributrice ed la produttrice davanti al giudice di primo grado della contea di Broward in Florida, per vedersi risarcito del danno patito, quantificato dall’attore tra i 10 ed i 30 milioni di dollari.
Nel corso del giudizio, il danneggiato giungeva ad una transazione con la distributrice, in virtù del quale, a fronte della rinuncia di far valere ulteriori pretese nei confronti dell’impresa, anche a titolo di danni puntivi, quest'ultima avrebbe corrisposto al primo la somma di un milione di dollari. Prima di concludere l'accordo, la distributrice sottoponeva la bozza di transazione all'attenzione della produttrice che prestava acquiescenza.
Sulla scorta dell'istituto del product liability test, nella sua sentenza, il giudice adito riteneva che la produttrice avrebbe dovuto manlevare la distributrice, ossia corrispondere lei la somma di un milione di dollari al danneggiato. Infatti, in virtù dell'istituto, quando la distributrice conclude una transazione con il danneggiato, la produttrice ha due scelte, tra loro alternative: approvare la transazione subendone gli effetti; oppure, opporvisi, ed assumere le difese della produttrice. Pur avendone la facoltà, la produttrice non si era infatti opposta alla transazione, né tantomeno aveva assunto le difese della distributrice.
Su istanza della distributrice, la sentenza del giudice della contea di Broward veniva quindi riconosciuta e resa efficace nel nostro paese dalla Corte d'Appello di Venezia. Con ricorso per Cassazione, la produttrice si opponeva alla delibazione. Tra i motivi del ricorso, con il terzo, la ricorrente – in sostanza – lamentava la contrarietà all'ordine pubblico della sentenza delibata ex art. 64 L. n. 218/1995, considerata l'abnormità dell'indennizzo corrisposto al danneggiato, anche a titolo di danni punitivi. A sostegno della propria doglianza, la ricorrente citava le sentenze di Cassazione in cui, come accennato, si era sostenuta la contrarietà all'ordine pubblico delle decisioni di condanna al risarcimento dei danni punitivi.
Con la loro pronuncia, le Sezioni Unite in primo luogo evidenziano come l’obbligo risarcitorio portato dalla sentenza delibanda non sia il risultato della stessa sentenza, bensì della transazione ad essa sottesa. Inoltre – prosegue il Consesso –, il risarcimento di un milione di dollari, risultante dalla transazione, appare tutt'altro che abnorme se raffrontato al valore originale della domanda proposta dall'attore, ricompreso tra i dieci ed i trenta milioni di dollari. Neppure il carattere punitivo del risarcimento può presumersi dalla mancanza, nella sentenza delibanda – o meglio, nella transazione recepita dalla stessa -, di una chiara distinzione tra le diverse componenti del risarcimento.
Il motivo di ricorso viene quindi respinto e, benché la sentenza delibanda non contempli una condanna al risarcimento dei danni punitivi, le Sezioni Unite ciononostante proseguono nel proprio ragionamento, per valutare se nel nostro ordinamento le sentenze di condanna al risarcimento dei danni punitivi possano trovare accoglimento.
Anzitutto, nella pronuncia in commento si osservava come, già da qualche anno, in conformità con la giurisprudenza della Corte costituzionale, la Cassazione abbia abbracciato la c.d. teoria polifunzionale del risarcimento del danno: nel nostro ordinamento, il risarcimento del danno, oltre a quella risarcitoria, può svolgere anche una funzione sanzionatoria. Si osserva ancora che la giurisprudenza di legittimità (Cass., SS.UU., n. 15/9100) ha precisato come la funzione sanzionatoria possa esser esercitata a condizione che una norma di legge chiaramente lo preveda, in virtù del principio di riserva di legge, di cui all'art. 25(2) Cost. (e 7 CEDU). Inoltre, come rappresentato anche nell'ordinanza di rimessione, le Sezioni Unite rilevano che, in effetti, il nostro ordinamento prevede istituti di risarcimento del danno a carattere anche sanzionatorio (ad esempio, il ben noto istituto di cui all'art. 96, comma 3, c.p.c. sulla responsabilità processuale aggravata).
Da un lato quindi, il nostro ordinamento accoglie la funzione anche sanzionatoria del risarcimento del danno, ma, dall'altro lato, l'ordinamento degli Stati nordamericani la abbandona progressivamente. Le Sezioni Unite infatti notano come la Corte Suprema nordamericana si sia pronunciata a sfavore delle condanne a risarcimenti del danno grossly excessive (trad. oltremodo eccessivi), oltre ad aver stabilito che, nel risarcimento del danno, la funzione sanzionatoria non possa eccedere quella compensatoria (caso Exon). Non solo, i giudici di piazza Cavour prendono altresì atto di come i singoli Stati nordamericani - tra i quali la Florida - disciplinino normativamente l'istituto dei punitive damages.
In sostanza, nella pronuncia in commento si afferma che le sentenze statunitensi di condanna al risarcimento dei danni punitivi non sono contrarie all'ordine pubblico in quanto la funzione sanzionatoria che perseguono è conosciuta anche nel nostro ordinamento ed è ammissibile a condizione che trovi un fondamento normativo, come richiesto dall'art. 25(2) Cost..
Il giudice italiano non è quindi dispensato dal vagliare la possibilità di riconoscere e dar efficacia a simili sentenze. Infatti, come concludono le Sezioni Unite, oltre a dover individuare il relativo fondamento normativo ex art. 25(2) Cost.: "la riconoscibilità del risarcimento punitivo è sempre da commisurare agli effetti che la pronuncia del giudice straniero può avere in Italia, con tutta l'ampiezza di verifica che si deve praticare nel recepimento, con le pronunce straniere, di un istituto sconosciuto, ma in via generale non incompatibile con il sistema".
Prima di entrare nel merito della pronuncia, appare il caso osservare come, in effetti, nel nostro ordinamento esista una norma che tratta espressamente del riconoscimento e dell'esecuzione delle sentenze straniere che condannano al risarcimento dei danni punitivi. Si tratta di una norma di diritto internazionale privato uniforme spesso dimenticata – come d’altronde fanno le Sezioni Unite –, forse per la sua (sinora) scarsa rilevanza pratica: l'art. 11 (1) della Convenzione dell'Aja del 2005 sugli accordi di scelta del foro (che attualmente essa è stata ratificata unicamente dall’Unione Europea, dal Messico e da Singapore). La norma dispone: "Il riconoscimento e l'esecuzione di una decisione possono essere negati se e nella misura in cui la decisione riconosce un risarcimento, anche di carattere esemplare o punitivo, che non indennizza una parte per una perdita o un danno effettivamente subiti". Pertanto, nell’ipotesi in cui un’eventuale sentenza pronunciata dal giudice messicano o singaporiano – che abbia giurisdizione in quanto designato da un accordo di scelta del foro esclusiva conforme ai requisiti della Convenzione – condannasse una parte italiana al pagamento di danni punitivi, la norma attribuirebbe al giudice italiano la facoltà di negare la delibazione di tale sentenza. È chiaro dunque come l’ipotesi sia del tutto marginale… In ogni caso, ancora, l’art. 11 della Convenzione è stata riprodotta all'art. 9 del 2016 Judgments Project Preliminary Draft, ossia la bozza della convenzione sul riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze straniere attualmente negoziata nell'ambito della Conferenza permanente di diritto internazionale privato dell'Aja.
L'art. 11 della Convenzione dell'Aja e 9 della bozza di convenzione, sono il frutto delle persistenti resistenze opposte da alcuni ordinamenti - nella specie, europei - nei confronti del valore giuridico proveniente dai paesi degli Stati Uniti costituito dalla funzione sanzionatoria attribuita alla risarcimento del danno, e, forse, in conclusione, il ricorrente avrebbe potuto farvi riferimento per cercare di far valere le sue ragioni davanti ai giudici di Cassazione.
In conclusione, venendo al merito della pronuncia, le sentenze straniere che condannano al pagamento di danni punitivi non sono di per sé contrarie alla nozione di ordine pubblico a norma dell’art. 64 L. n. 218/1995, atteso che la funzione punitiva del risarcimento del danno è conosciuta anche nel nostro ordinamento. Pur tuttavia ciò non significa che tali sentenze possano esser automaticamente accolte nel nostro ordinamento. Anzi, a ben vedere, le Sezioni Unite riconoscono ampi margini di discrezionalità al giudice per poter rifiutare la delibazione. Infatti, si dà a questi la possibilità di qualificare lui stesso quale punitiva la condanna al risarcimento portata dalla sentenza straniera, allorché – ai suoi occhi e secondo i suoi parametri normativi – sia eccessiva. A questo punto, ogniqualvolta, il giudice italiano ritenga sia punitiva, la condanna al risarcimento del danno potrà far ingresso nel nostro ordinamento solo se sarà rintracciato un fondamento normativo nello Stato straniero. In sostanza, oltre ad affermare il limite della riserva di legge, le Sezioni Unite introducono nel nostro ordinamento la soluzione già adottata nel sistema francese del test di proporzionalità che comporta, necessariamente, da un lato, un pregnante scrutinio della sentenza delibanda di condanna al risarcimento del danno e, dall’altro, un ampia discrezionalità da parte del giudice richiesto.
Dott. Ennio Piovesani