Differenze tra agente e procacciatore
Arianna Ruggieri
Redattore
Due recenti sentenze di Cassazione offrono il pretesto per soffermarsi sull’annosa questione delle differenze tra il rapporto di agenzia e quello di procacciatore d’affari e sulla relativa qualificazione del rapporto.
Le sentenze in analisi riepilogano in maniera piuttosto chiara le principali differenze tra agente di commercio e procacciatori d’affari. La qualificazione del rapporto in una piuttosto che nell’altra fattispecie spesso da luogo a discussioni, che altrettanto spesso sfociano in controversie giuridiche.
In entrambe i casi sottoposti al vaglio della Suprema Corte, la controversia nasceva dalla richiesta da parte della Fondazione Enasarco di qualificare come agenzia i rapporti intercorsi tra due società ed alcuni collaboratori delle medesime.
La prima delle sentenze qui esaminate (Cass. Sez. lav., n. 4561 del 20.02.2024) può essere brevemente riassunta come segue. La Fondazione Enasarco aveva ottenuto dal Tribunale di Roma decreto ingiuntivo per l’importo di circa € 30.000 a titolo di contributi nei confronti di una società, che era stata qualificata come preponente nell’ambito di un rapporto di agenzia. A seguito dell’opposizione della società, il Tribunale aveva revocato il decreto ingiuntivo. Anche la Corte d’Appello territoriale, a conferma della decisione del Tribunale, con sentenza n. 473 del 2018 aveva respinto l’impugnazione di Enasarco, non ravvisando la sussistenza di un rapporto di agenzia, poiché “l’opera prestata dai collaboratori indicati nell’accertamento ispettivo si risolveva in una mera attività di propaganda e di assistenza dei clienti ed era priva di ogni attinenza con la conclusione dell’affare”.
La Fondazione ricorreva per la cassazione della suddetta sentenza. Tuttavia, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso sollevati da Enasarco, in quanto la sentenza d’appello impugnata aveva identificato i tratti distintivi del rapporto di agenzia, in conformità ai principi già enunciati dalla Cassazione e ne aveva fatto corretta applicazione nel caso di specie. In sostanza, la corte territoriale aveva puntualizzato che “l’attività di promozione della conclusione di contratti per conto del preponente, che costituisce l’obbligazione tipica dell’agente, non può consistere in una mera attività di propaganda, da cui solo indirettamente derivi un incremento delle vendite, ma si deve configurare come attività di convincimento del potenziale cliente a ordinare i prodotti del preponente”. Nel caso di specie, invece, la Corte aveva evidenziato che in concreto l’attività dei collaboratori indicati nel verbale ispettivo si sostanziava prevalentemente nella sola propaganda, assistenza e traduzione in favore dei clienti. I collaboratori non partecipavano alle riunioni preliminari e successive alla vendita, alle sfilate, alle presentazioni delle collezioni, non possedevano campionari. Per tali ragioni la Corte territoriale aveva escluso la sussistenza della correlazione causale tra l’attività svolta e la conclusione di contratti, escludendo così correttamente che il rapporto potesse essere inquadrato nell’agenzia.
La seconda sentenza in esame (Cass. Sez. Lav., n. 10656, del 19.04.2024) ha ritenuto invece fondata la pretesa di Enasarco. In questo caso, la Corte territoriale aveva raccolto significativi elementi indiziari che deponevano per la stabilità e la continuità del rapporto di collaborazione e da cui aveva ritenuto la sussistenza di un rapporto di agenzia. In particolare, l’ampia durata effettiva delle collaborazioni, la fatturazione presente in tutti gli anni del periodo, l’alto numero e la significativa frequenza di fatture emesse anno per anno e complessivamente, il riferimento dei documenti agli affari svolti in un determinato arco di tempo, la percezione del compenso in relazione al buon fine degli affari promossi e l’entità rilevante dell’ammontare medio annuo dei compensi avevano contribuito a qualificare il rapporto come agenzia. Il ricorso proposto dalla società preponente era stato ritenuto inammissibile dalla Suprema Corte. Infatti, è stato ritenuto che gli elementi passati in rassegna dalla corte d’appello fossero conformi all’orientamento consolidato e risultassero idonei a sorreggere il convincimento della sussistenza di rapporti continuativi dei collaboratori della società e dell’assunzione di un incarico stabile, quale quello di agenzia. Nel ribadire la correttezza della sentenza impugnata, la quale aveva inquadrato il caso di specie come rapporto di agenzia, la Suprema Corte ha avuto altresì l’occasione di soffermarsi sulle differenze più salienti rispetto al rapporto di procacciamento d’affari che, invece, si sostanzia “nella più limitata attività di chi, senza vincolo di stabilità e invia del tutto episodica, raccoglie le ordinazioni dei clienti, trasmettendole all’imprenditore da cui ha ricevuto l’incarico di procurare tali commissioni”; ed ha ribadito che la prestazione del procacciatore, a differenza di quella dell’agente, è occasionale, cioè dipende esclusivamente dalla sua iniziativa, attiene a singoli affari determinati, ha durata limitata nel tempo e si traduce nella mera segnalazione di clienti o nella sporadica raccolta di ordini, senza assurgere ad un’attività promozionale stabile di conclusione di contratti (come avviene, invece, nell’agenzia).
Avv. Arianna Ruggieri